Negli ultimi due mesi sono oltre 580 mila i contenuti online riferiti ad ansia, timori e paure degli italiani: gli effetti dell’infodemia causata prima dal Covid-19 e ora dalla guerra in Ucraina
Due anni fa ci siamo trovati a fronteggiare una situazione senza precedenti. Con lo scoppio della pandemia, gli indicatori di percezione sono schizzati fuori parametro e hanno dato vita alla prima infodemia. Milioni di contenuti, spesso in contrasto tra loro, hanno contribuito ad alimentare ansie, paure e sospetto, dando vita anche a pericolose fake news.
L’esplodere del fenomeno ha dato vita a una crisi multiforme che ha intersecato importanti asset quali le istituzioni, i media, la scienza, il ruolo degli esperti e le aziende, che si sono trovate davanti a un cambio di scenario repentino e fumoso.
Il mondo intero si è trovato a fronteggiare quello che da molti è stato definito “infodemia”, una situazione in cui informazioni sono esplose a un ritmo vertiginoso, mai sperimentato prima. Una pandemia social (e non solo) che ha avuto impatti sulle persone e sulla società nel suo complesso. E che come stiamo vedendo in queste settimane, non si è di certo esaurita, ma è stata amplificata dallo scoppio del conflitto in Ucraina.
Gli effetti della pandemia Covid-19 sulle persone
Il fatto che il mondo intero sia stato stravolto prima dalla pandemia e ora dalla guerra non è certo una novità. È bene però riflettere sulle conseguenze che questi grandi eventi hanno sulle persone, sulla loro mente e sulle loro modalità di interazione e partecipazione alla vita sociale.
Pochi giorni fa, il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato all’unanimità la mozione per introdurre la figura dello psicologo di base: un servizio gratuito per tutti i cittadini. Eccole, le conseguenze della pandemia sui cittadini. Dove nasce questa esigenza? La risposta, per gli esperti, è proprio l’esperienza che abbiamo vissuto tutti negli ultimi due anni. Studi dimostrano che questa ‘catastrofe collettiva’, dalla quale forse stiamo uscendo solo ora, abbia avuto effetti significativi sulla sfera psicologica ed emozionale di moltissimi individui. Secondo una recente analisi Freeda, infatti, il 56% dei giovani italiani si informa sui social media riguardo alla salute mentale e il 79% ha manifestato episodi di ansia dovuti al Covid. Riguardo agli effetti del Covid-19, gli intervistati italiani hanno detto appunto che nel 79% dei casi hanno avuto un aumento dell’ansia e l’81% dello stress. Il 69% di chi ha risposto ai quesiti ha parlato di un aumento degli episodi depressivi.
Un recente studio Humanitas University ha segnalato come il 20% delle persone intervistate abbia riportato sintomi clinicamente riconducibili al disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e il 28% ha invece lamentato sintomi ossessivo-compulsivi. Dati che fanno riflettere.
Come si parla di ansia online
Da anni studiamo la Rete e le sue dinamiche. Un territorio, il mondo online, che a dispetto di quello che pensano in molti non è un’isola. La Rete fa parte della società in cui viviamo. È influenzata da – e a sua volta influenza – ciò che accade offline. Un rapporto di forte contaminazione. Per questo siamo andati a studiare “cosa si dice dell’ansia online”.
Negli ultimi due mesi, marzo e aprile 2022, abbia trovato oltre 580 mila conversazioni sull’ansia (e relative tematiche ad essa associate). La fonte più prolifica quando si parla di ansa in Rete è Twitter: è qui che si concentra il 58% dei contenuti. Un dato che dà subito l’idea di un tema molto dibattuto tra gli utenti: sono 102 mila, infatti, gli utenti che in soli due mesi hanno preso parte a conversazioni su questo tema. Minori, invece, le conversazioni che avvengono sui blog (18%) e sui giornali online (14%), minimo il peso dei quotidiani (4%).
Negli ultimi due mesi lo scenario “ansiogeno” si è amplificato. La guerra in Ucraina – e tutto ciò che essa porta con sé – ha rimpolpato le paure degli italiani, tanto che l’ansia è diventata un tema ricorrente e costante nel tempo. Stiamo parlando di circa 10 mila contenuti al giorno. Un volume di conversazione non distante da quello rilevato nei giorni clou della pandemia o dei vaccini.
Analizzando i concetti ricorrenti e gli hashtag più utilizzati, prevalgono due concetti: pandemia e guerra. Ancora il tema Covid-19. E l’attualità: tra le ansie e paure più diffuse in rete tra marzo e aprile, compare proprio l’eventualità di una terza guerra mondiale che potrebbe sfociare in una guerra nucleare.
Il ruolo delle fake news e della comunicazione scientifica
C’è un tema, poi, che ritorna quando si parla di pandemia e guerra: la disinformazione. Le fake news non sono certamente nate oggi. Con l’avvento del mondo digitale rappresentano però un problema globale senza precedenti. L’avvento del web ha fatto sì che esse si sviluppassero in modo sempre più sofisticato, acquisendo una velocità di diffusione e contaminazione mai viste prime, andando a minare le basi della nostra società. Sanità, economia, politica, nessun campo del vivere civile è immune dalla proliferazione della disinformazione, spesso costruita e indirizzata ad arte per colpire gli ambiti più delicati della nostra società: una vera e propria forma di hacking della democrazia che ha effetti, ancora una volta, sulla percezione e sull’ansia delle persone.
Non dimentichiamoci che viviamo all’epoca del doomscrolling. Per chi non lo avesse mai sentito, ci riferiamo a un neologismo inglese (doom, sciagura, e scrolling, scorrimento) che indica un comportamento tipico dell’era digitale: la dipendenza da notizie negative. L’utente della Rete affetto da questa ‘patologia’ aggiorna costantemente social media e siti in cerca di cattive notizie, anche se poco utili. Il comportamento non è nuovo, bensì era già diffuso prima della pandemia in particolare tra persone affette da ansia e depressione. Un fenomeno sostenuto anche dal cosiddetto confirmation bias che ci spinge a cercare, leggere e dare credito solo a notizie in linea con il nostro pensiero. Secondo un recente sondaggio reso noto dall’Unicef sui canali U-Report Italia, inoltre, il 40% degli intervistati non si sente adeguatamente informato, il 21% tende a cercare in modo ossessivo le cattive notizie online, per il 19% il flusso di informazioni crea ansia.
La pandemia prima e la guerra poi hanno alimentato questa tendenza. Un circolo vizioso su cui il mondo della scienza dovrebbe interrogarsi. I dati – clinici e della Rete – ci hanno messo davanti a una cruda verità. La pandemia prima e la guerra oggi hanno accelerato la presa di coscienza e responsabilità. Invertire il segno è possibile ma serve intervenire ora. Anche con una valida comunicazione scientifica.